Da ” Immunologia Oggi” prof. Alberto Beretta
DAL PLASMA AGLI ANTICORPI RICOMBINANTI.
IL FUTURO E’ ADESSO.
Quello di oggi è un approfondimento sul tema degli sviluppi futuri della terapia di Covid-19 con plasma da convalescenti. Le nuove tecnologie permettono di selezionare i migliori anticorpi e di eliminare i rischi legati alla presenza nel plasma di anticorpi che possono causare effetti collaterali severi. Ricordiamo che il plasma contiene anticorpi che bloccano il virus.
MA QUALI ANTICORPI?
il plasma di un paziente che ha incontrato il virus SARS-CoV-2 contiene una varietà enorme di anticorpi contro il virus. Alcuni sono utili alle difese (si attaccano al virus e lo neutralizzano), altri sono sostanzialmente inutili (si attaccano al virus ma non gli fanno niente) e altri sono dannosi (si attaccano al virus e aumentano la sua capacità di infettare le cellule). Per fortuna questi ultimi sono una minoranza, ma se qualcosa non funziona, possono creare problemi seri. Nel caso dei pazienti convalescenti è verosimile che il sistema abbia ottimizzato la risposta nel tempo eliminando gli anticorpi sbagliati e aumentando la percentuale di quelli giusti. Ma non lo sappiamo con precisione. Mancano ancora dati in questo senso.
Perché così tanti anticorpi diversi? Perché il virus non è una struttura molecolare semplice. Anzi, è costituito da una membrana, con delle proteine esterne (gli Spike che vedete sui pittogrammi del virus) e interne alla membrana. Ognuna di queste proteine a sua volta è costituita da tanti pezzettini tutti diversi uno d’altro (in termini immunologici si chiamano “epitopi”) e per ognuno di questi “epitopi” esiste una cellula del sistema immunitario (i linfociti B) che produce un solo anticorpo capace di attaccare il singolo epitopo. Ne produce in grandi quantità, ma se considerate le migliaia di epitopi del virus, qualora uno di questo fosse più importante per il virus degli altri, gli anticorpi che lo riconoscono verrebbero diluiti da tutti gli altri. E’ esattamente quello che succede all’inizio dell’infezione. Il sistema “spara a caso” e, se va bene, centra il bersaglio. Poi, con il passare dei giorni impara a prendere la mira e a selezionare, fra i tanti anticorpi che ha a disposizione, quelli che fanno più male al virus.
Il problema che noi immunologi abbiamo avuto per tanti anni, dalle prime vaccinazioni di Jenner fino a non molto tempo fa, è stato di come selezionare, fra i tanti anticorpi, quelli più utili.
COME OVVIARE AL PROBLEMA?
Qui dobbiamo fare un passo indietro.
Siamo nel dicembre del 1984. A Stoccolma Cesar Milstein e Georges Kohler ricevono il Premio Nobel per la Fisiologia e Medicina. Cosa hanno scoperto? Potrebbe sembrare complesso ma è molto semplice: hanno scoperto una tecnica per isolare, fra i milioni di linfociti B disponibili, quelli che fanno l’anticorpo giusto, immortalarlo e utilizzarlo per produrre una quantità praticamente illimitata di anticorpi tutti identici e tutti capaci di attaccarsi e bloccare lo stesso epitopo. Sono gli anticorpi monoclonali (perché sono prodotti da un solo clone di cellule).
Se avete avuto un amico o un parente che soffre di una malattia reumatica, o di una malattia intestinale grave, o anche di un tumore, avrete certamente sentito parlare dei farmaci biologici. Sono gli anticorpi monoclonali. Quando Milstein e Kohler inventarono la tecnica probabilmente non immaginavano la rivoluzione che avevano iniziato. La loro scoperta ha avuto un impatto sull’immunologia moderna e sul modo in cui curiamo molte malattie ancora 20 anni fa inimmaginabile.
ANTICORPI COME FARMACI
Per battere il virus abbiamo bisogno di farmaci capaci di bloccarlo prima che dilaghi nei nostri polmoni. Un farmaco, per essere affidabile, deve avere una struttura chimica conosciuta, una sicurezza dimostrata, una efficacia almeno parziale, e deve essere riproducibile su scala industriale. Non è certo il caso del plasma dei pazienti convalescenti. Ma dagli effetti del plasma sulla malattia possiamo attingere tante utilissime informazioni per produrre un farmaco. Un farmaco fatto come un anticorpo monoclonale. Scegliendo l’anticorpo perfetto. Quello che non sbaglia il bersaglio.
Sono passati quasi 40 anni e la tecnologia inventata da Milstein e Kohler è ancora attualissima. La rivista Nature Biotechnology ha dedicato un articolo alle ultime innovazioni di questa tecnologia. Lo trovate allegato qui in fondo.
All’inizio utilizzavamo anticorpi monoclonali fatti nel topo, poi abbiamo imparato a farli fare da linfociti umani (in questo modo non sono riconosciuti come estranei e rigettati) e adesso siamo in grado di farli fare ai bovini, ma esattamente come se fossero fatti dall’uomo. Ma in quantità industriali. Prima utilizzavamo tecniche di fusione cellulare che mettevano insieme un linfocita B con una cellula tumorale. La fusione delle due cellule immortalava il linfocita B e, questo strano ibrido, produceva quantità illimitate di anticorpi tutti identici.
Oggi non abbiamo più bisogno di tutto questo. Prendiamo il gene di un anticorpo (selezionato fra i tanti prodotti da un paziente convalescente) lo iniettiamo in una cellula e riproduciamo in vitro quello che il sistema immunitario del paziente ha fatto. Ma lo facciamo meglio e, soprattutto, lo facciamo prima.
QUANTO TEMPO ANCORA?
Forse mi stò sbilanciando, ma credo di non essere troppo ottimista a dire che fra un anno avremo i primi farmaci prodotti con queste tecnologie.
Dovremo verificarne la sicurezza ed efficacia. Ma abbiamo tutto lo storico degli altri anticorpi monoclonali che sono già diventati farmaci. Non solo, ma la verifica della loro efficacia non prenderà molto tempo. La Covid-19 è una malattia acuta, dura 2-3 forse 4 settimane. Sapere se un farmaco funziona non prende molto tempo.
CONCLUSIONI
Iniziamo a lavorare con il plasma. Ma con cautela. E impariamo dal plasma quali anticorpi utilizzare come farmaci.
PS: scrivendo questo post mi sono fatto trasportare dai ricordi… Nel 1982 ero a Stoccolma per il mio dottorato. Il capo del mio laboratorio, Goran Moller, era membro del comitato Nobel (come tutti i professori del Karolinska Institute). Goran aveva invitato tutti gli studenti ad una cena a casa sua con Milstein e Kohler.
Milstein, un argentino simpaticissimo, parlava pochissimo di scienza. Kohler, giovanissimo premio Nobel, timido e riservato. Immaginavamo che i due avrebbero vinto il premio, era nell’aria. Ma mai avremmo immaginato che le loro ricerche, 40 anni dopo, avrebbero formato la base per curare una malattia che sta terrorizzando il mondo. Onore alla scienza!
Per chi desidera approfondire:
Cormac Sheridan. Convalescent serum lines-up as first-line treatment against Covid-19. Nature Biotechnology.