I TEST SIEROLOGICI: COME INTERPRETARLI- Covid19


DA “IMMUNOLOGIA OGGI” PROF.ALBERTO BERRETTA

Il tema più attuale di questi giorni è quello dei test sierologici per il nuovo coronavirus. I test misurano la presenza nel sangue di anticorpi specifici per il nuovo coronavirus. Prima però di entrare nei dettagli di come funzionano e di come interpretarli dobbiamo fare un passo indietro e spiegare alcuni principi alla base della risposta anticorpale al virus.

Gli anticorpi (anche chiamati immunoglobuline) sono armi potenti che abbiamo per bloccare un agente patogeno come il nuovo coronavirus. Sono molecole proteiche a forma di Y (come potete vedere nella figura) capaci di individuare un agente estraneo e bloccarlo con le due braccia della Y. L’altra parte dell’anticorpo (la gamba) può a sua volta attivare una cascata di reazioni chimiche che distruggono il bersaglio. Ma anche senza la funzione distruttrice della gamba gli anticorpi possono legarsi al bersaglio con forza e impedirgli di svolgere la sua funzione normale. Nel caso del virus possono impedirgli di legarsi al recettore ACE2 che usa per entrare nelle cellule.

Gli anticorpi sono molecole solubili che possono agire a distanza e riconoscere tutti i possibili agenti estranei che entrano in contatto con il nostro organismo. Sono prodotti da un tipo particolare di cellule, i linfociti B, delle vere e proprie fabbriche. Ogni linfocita B produce un solo tipo di anticorpo che riconosce un solo bersaglio (l’antigene in termini immunologici). Il nostro corpo può fabbricare ogni giorno miliardi di linfociti B che producono miliardi di anticorpi diversi. Il problema è che, per eliminare un bersaglio specifico, il sistema deve prima riuscire a produrre milioni di anticorpi identici capaci tutti di riconoscere lo stesso antigene. Per fare questo, i linfociti B che producono l’anticorpo giusto, che all’inizio sono pochissimi, devono prima replicarsi milioni di volte seguendo specifici segnali che ricevono da altre cellule del sistema immunitario.

Alla fine di questo processo, il sistema immune riuscirà a schierare contro il bersaglio una batteria molto abbondante ed efficace di anticorpi. Ma ci vuole tempo. Nel caso del nuovo coronavirus si stima fra gli 8 e i 12 giorni.
Durante questo processo, i linfociti B imparano a produrre anticorpi sempre più efficienti. I primi a uscire dalle fabbriche sono anticorpi chiamati IgM. Bastano 8 giorni dal contagio ed ecco che compaiono nel sangue. Hanno una caratteristica: sono capaci di bloccare almeno 5 antigeni in un colpo solo…ma un difetto, non sono sufficientemente specifici, in altre parole possono sbagliare bersaglio. Ecco perché, dopo pochi giorni, interviene un altro tipo di anticorpi, chiamati IgG. Questi possono legare un solo antigene, ma non sbagliano mai, e, con il passare del tempo, diventano sempre più efficienti grazie ad un processo di maturazione dei linfociti B che li producono.

Vi abbiamo descritto una sequenza di eventi che seguono il primo incontro con il virus. Quando però il virus tenta una seconda volta di attaccarvi, i linfociti B sono già pronti a produrre le IgG, senza aspettare troppo tempo, e il povero virus non ha scampo. E’ il principio su cui si basano la maggior parte dei vaccini contro malattie virali e batteriche. Il vaccino “simula” il primo attacco virale in modo da dare il tempo al sistema immunitario di prepararsi all’attacco vero.

E ora veniamo all’argomento di oggi.
I test che rilevano la presenza nel sangue di anticorpi specifici per il coronavirus sono tutti basati sullo stesso principio: un pezzetto di virus ottenuto con sintesi chimica o ingegneria genetica, che viene fissato su una superficie solida e che viene riconosciuto dagli anticorpi presenti nel sangue. Il tutto dotato di un sistema di rilevazione che permette di identificare separatamente le IgM dalle IgG che si sono legate. Perché si dosano entrami i tipi di anticorpi? Perché le IgM sono i primi a comparire e a segnalare l’avvenuto contagio mentre le IgG
arrivano ultime ma rimangono in circolo per molto tempo, anche dopo la scomparsa delle IgM. Nel caso del coronavirus non sappiamo ancora quanto tempo. E questo è il problema piò grosso che dobbiamo risolvere.

Quando il test viene eseguito su un soggetto che è stato contagiato la prima volta, solo dopo 8-12 giorni, comparirà il primo risultato positivo, quello delle IgM. Successivamente il test diventerà positivo anche per le IgG. E in un terzo momento, scompariranno le IgM e rimarranno solo le IgG.

Cosa ci dice questa cinetica di comparsa degli anticorpi:

1. Un test positivo alle IgM o a entrambe IgM e IgG indica contagio recente
2. Un test positivo alle IgG solo indica un contagio che potrebbe essere avvenuto settimane o mesi prima (non sappiamo ancora quanto prima).

Quali sono i limiti di questi test:

1. Hanno una finestra di negatività di 8-12 giorni. Per questo motivo un risultato negativo

2. Non ci dicono se gli anticorpi rilevati sono veramente protettivi. E’ probabile che le IgG lo siano ma non abbiamo ancora dati sufficienti per affermarlo
3. Hanno un certo livello di imprecisione. Soprattutto le IgM tendono a dare reazioni crociate con altri coronavirus, come quelli del raffreddore. Per questo motivo alcuni test già in commercio non misurano le IgM ma solo le IgG.

Come si possono eseguire?
Abbiamo due possibilità: quella offerta dai laboratori di analisi che utilizzano test che richiedono strumentazioni particolari per essere letti. E i test rapidi su goccia di sangue che possono essere eseguiti anche da un medico o un infermiere in ambulatorio. Il Sistema Sanitario Nazionale, ha adottato i primi dopo uno studio di validazione molto accurato. Verranno impiegati per eseguire analisi epidemiologiche molto importanti.

Per quanto riguarda i test rapidi siamo in attesa di studi di validazione che ne confermino l’accuratezza. Ma è una tecnologia ormai consolidata ed è solo una questione di tempo per averli a disposizione.

E il tampone? Il tampone rileva direttamente la presenza del virus (misurando l’RNA contenuto al suo interno). Può dare un risultato positivo subito all’inizio dell’infezione senza dovere attendere come il test anticorpale. Si negativizza dopo settimane dal contagio e, per questo motivo non si presta allo screening su larga scala per evidenziare i soggetti che sono stati esposti. Ma non è sostituibile dai test anticorpali per l’identificazione dei portatori asintomatici del virus. D’altra parte può dare risultati falsi negativi. E’ dunque la combinazione dei due test che potrà essere molto utile nei prossimi mesi per la gestione della fase 2.

Concludiamo con una raccomandazione: i test anticorpali vi possono dire se siete stati in contatto con il virus ma non vi danno il cosiddetto “patentino di immunità”. Non sappiamo ancora se gli anticorpi che misuriamo sono protettivi e quanto durano.

Quang Xi Long et al Antibody responses to SARS-Cov-2 in patients with Covid-19. Nature Medicine
https://doi.org/10.1038/s41591-020-0897-1

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