IMMUNOLOGIA OGGI-COVID19 E RAFFREDDORE


Dai test sierologici sui pazienti Covid-19 è emerso un fatto inatteso. Molti pazienti, al primo incontro con il virus, producono anticorpi come se lo avessero già visto prima. Ieri è arrivata una possibile spiegazione: i coronavirus che causano il comune raffreddore possono stimolare una risposta immunitaria contro il nuovo coronavirus. E’ una risposta che ci protegge? Non lo sappiamo ancora ma è probabile che influenzi il modo in cui rispondiamo al nuovo coronavirus.
Ieri il team di Alessandro Sette ha pubblicato un dato che potrebbe, se confermato, cambiare molto la nostra comprensione della Covid-19.
La ricerca, pubblicata sulla prestigiosa rivista Cell, dimostra che i pazienti convalescenti da Covid-19 hanno una forte risposta immunitaria di tipo T. Ma anche soggetti sani, prelevati 4 anni fa quando il nuovo coronavirus ancora non circolava, hanno, in misura minore lo stesso tipo di risposta. La ricerca porta prove sostanziali che i linfociti T dei soggetti non-Covid-19 sono stati stimolati da un precedente incontro con i coronavirus più comuni, quelli del raffreddore. Questo vuole dire che se facciamo un raffreddore siamo protetti contro la Covid-19?
Per capirlo dobbiamo fare un passo indietro e comprendere cosa sono i linfociti T.
La risposta del sistema immunitario al virus si poggia su due pilastri fondamentali: i linfociti T e i linfociti B. Ci sono molti altri tipi di cellule coinvolti ma per semplicità oggi ci concentriamo sui T e i B. I due tipi di cellule, cha fanno parte della grande famiglia dei leucociti (più comunemente chiamati globuli bianchi), si aiutano fra di loro per fare due cose molto diverse ma sinergiche: i B producono anticorpi (trovate più dettagli nel nostro post del 12 maggio), i T coordinano le operazioni difensive. I T a loro volta si distinguono in due sottotipi: i T CD4 e i T CD8. I primi sono quelli che hanno funzione di coordinatori della risposta, i secondi sono capaci di eliminare direttamente le cellule infettate dal virus.
Per produrre anticorpi i B hanno bisogno dell’aiuto dei T CD4. Se un soggetto ha a disposizione una buona dose di T CD4 capaci di riconoscere il virus, molto probabilmente è anche capace di produrre anticorpi contro lo stesso virus. E’ quello che hanno visto i colleghi sui pazienti convalescenti dalla Covid-19. Tutti i pazienti hanno nel sangue i T CD4 che riconoscono il virus e, parallelamente, i loro linfociti B producono anticorpi contro il virus. Un dato molto importante perché studiando i T CD4 circolanti nei pazienti si possono ricavare informazioni molto utili per sviluppare un vaccino.
Ma la vera sorpresa dello studio è stata che gli stessi linfociti T circolavano nel sangue di soggetti prelevati 4 anni prima quando ancora il nuovo coronavirus non era entrato in contatto con l’uomo.
L’ipotesi emersa immediatamente dall’osservazione è che uno o più coronavirus circolanti nella popolazione siano stati in grado di stimolare queste cellule. I coronavirus più comuni sono quelli che causano il raffreddore. La prova è arrivata dalla dimostrazione che gli stessi soggetti che quattro anni fa avevano i T CD4 che reagiscono al nuovo coronavirus hanno anche prodotto anticorpi contro i coronavirus del raffreddore.
A questo punto ci stiamo tutti chiedendo: i T CD4 e gli anticorpi per produciamo dopo un semplice raffreddore ci proteggono dal nuovo coronavirus? E se sì, questo fenomeno può spiegare perché molti di noi non si ammalano quando incontrano il nuovo coronavirus?
Per potere rispondere a questa domanda diventa molto importante e urgente cercare nella nostra popolazione i soggetti che hanno anticorpi contro i coronavirus comuni. Potrebbe non essere facile, per due motivi. Non abbiamo a disposizione test standardizzati che ci permettano di identificare questi anticorpi. Non solo, per molti di questi coronavirus la risposta anticorpale è di breve durata, due o tre mesi. Questo vuole dire che dobbiamo aspettare l’arrivo dell’inverno quando torneranno a circolare per potere avere dei dati attendibili.
Nel frattempo un dato che suggerisce un possibile effetto della presenza di una immunità preesistente viene da una osservazione emersa dagli studi sierologici nei pazienti Covid-19 pubblicati due settimane fa da Nature Medicine.
Molti pazienti hanno dimostrato una risposta anticorpale tipica di un secondo incontro con il nuovo coronavirus.
In conclusione: è verosimile che il modo in cui rispondiamo al nuovo coronavirus sia influenzato dai nostri incontri precedenti con i coronavirus più comuni. Se tutto questo veramente ci protegge dalla malattia è ancora da dimostrare. Ma non dovremo attendere molto per saperlo. La ricerca sta procedendo ad un ritmo mai visto.
Concludo con una nota di ottimismo “nazionalista”. Alessandro Sette è uno dei migliori immunologi al mondo. Uno dei tanti immunologi italiani. La nostra immunologia è riconosciuta da tutti come una delle migliori al mondo. E sono convinto che nelle prossime settimane vedremo tante scoperte sul Covid-19 fatte dai nostri connazionali.
Per chi desidera approfondire allego il link all’articolo del gruppo di Alessandro Sette:

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